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La favola del principe scuro alla Biennale Teatro 2003

di Carmelo Alberti
  Samritechack
Data di pubblicazione su web 28/10/2003  
Il primo spettacolo del 35° Festival di Teatro della Biennale di Venezia, diretto solo per l'anno in corso da Peter Sellars, getta un ponte tra culture che agiscono su versanti emotivi e simbolici tra loro distanti; eppure, lo spettatore che assiste nel Teatro alle Tese dell'Arsenale a Samritechak, il prezioso spettacolo di danza classica cambogiana robam kbach boran, ideato da Sophiline Cheam Shapiro, per conto della Royal University of Fine Arts e dell'Amrita Performin Arts di Phnom Phenh, è catturato dalla semplicità e, insieme, dall'efficacia di un linguaggio arcaico che si misura con una storia occidentale. Infatti il racconto eseguito con maestria dai danzatori, dai cantori e dai musicisti altro non è che quello shakespeariano di Otello e Desdemona; gli artisti eredi di una millenaria tradizione, che si è mantenuta viva nonostante le repressioni e le persecuzioni del regime di Pol Pot, non nascondono la difficoltà di coniugare il dramma della gelosia con i codici di una danza legata saldamente alle radici mitologiche della Cambogia. L'esperimento è da considerare anche nell'ottica di un omaggio, di un dono che la compagnia fa alla cultura del mondo per rimarcare come un nucleo di sopravvissuti ai campi di sterminio o di individui cresciuti oltre i confini della loro nazione abbia saputo salvaguardare l'antico costume culturale di un popolo.

Nella ricerca delle corrispondenze fra struttura tradizionale e vicenda moderna, fra visione tragica e coreografia allegorica, ha un ruolo importante la trama di suoni, colori e gesti infiniti che definisce gradualmente una catena di segni fascinosi e incomprensibili. La danza classica cambogiana stabilisce un tramite tra l'universo degli dei e l'umanità, perciò è popolata da figure soprannaturali, demoni, mostri e animali. I danzatori, avvolti in splendidi costumi dorati, sviluppano mediante la fissità dei volti e la regolarità delle posizioni una narrazione rituale che rimanda immediatamente alle icone dei templi e dei luoghi di culto. Inoltre, la musica, che proviene da strumenti inconsueti, e la voce dei coristi, mantenuta su registri monocordi che rammentano la tonalità del canto popolare, compongono un mosaico descrittivo davvero efficace. 


 
Samritechack


Sophiline Shapiro, che da tempo agisce in direzione di un'apertura del repertorio a soggetti nuovi ed eccentrici, traspone l'ossatura della vicenda di Otello sul versante dei racconti divini e magici. Dopo le nozze contrastate e il viaggio alla volta di Cipro, Samritechak, che in cambogiano significa principe scuro, e la sposa Khanitha Devi vivono avvolti da un'aura incantata, espressa da un fondale di luce chiara; ma il loro amore è turbato dagli intrighi del demone Virul (Jago), guizzante e maligno, che costringe la moglie Meani (Emilia) a rubare un fazzoletto per donarlo a Romnea-Cassio. Seguendo un ritmo piano e lineare, privo di sussulti se si eccettua un cambiamento di colore verso i toni grigi e, insieme, lividi della notte, il dramma della gelosia si chiude nella stanza da letto con l'uccisione dell'amata attraverso un atto di magia, la stessa con cui alla fine si toglierà la vita il Moro di Venezia. La storia si spegne mentre i due protagonisti assumono una posizione ieratica, che rammenta l'immagine di due divinità cambogiane, distesi l'uno accanto all'altra.

I danzatori-attori, sia quelli a cui sono affidati i ruoli principali, sia i figuranti, sorprendono per la cura e il rigore della loro esibizione; la ricerca della cura formale fa sì che si eviti ogni eccesso, soprattutto nei passaggi ad effetto. Anche la danza di guerra, lo scontro tra rivali e la suggestiva morte di Otello e Desdemona, descritta da una stella composta da nastri rossi, hanno luogo senza sussulti sul filo di un'ininterrotta meraviglia.

Samritechack
cast cast & credits
 

Samritechack
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