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Mostra senza spettacolo

di Siro Ferrone
  Domenico Fetti
Data di pubblicazione su web 15/12/2002  
A Mantova, nella cornice prestigiosa di Palazzo Te, c'è un'altra mostra che ha - come si suole dire - "fatto spettacolo", dedicata alla Celeste Galleria dei Gonzaga. Un successo di comunicazione e commerciale indubitabile: alto numero di visitatori, prolungamento dell'apertura al 12 gennaio 2003, incassi consistenti che pare abbiano ripianato i debiti del Palazzo mantovano. Una raccolta encomiabile di opere convocate dalle quattro parti del mondo a restaurare, almeno in parte, un gusto e un collezionismo ambiziosi. Un allestimento discutibile: solo "ragioni di bottega" possono avere giustificato la collocazione dei quadri e degli oggetti in uno spazio angusto e asfissiante, un'alternanza di buio e cattiva illuminazione, in una ressa da stadio di C2, invece che nelle più opportune e storicamente confacenti sale del palazzo Ducale, laddove la collezione di quadri ebbe la sua nascita e il suo sviluppo (pare messo in castigo, tra l'altro, un San Girolamo penitente di Tiziano piazzato in tralice in un loculo di dubbio gusto al centro del percorso).


Domenichino, Rinaldo e Armida - Parigi, Louvre
Domenichino, Rinaldo e Armida - Parigi, Louvre

Ma per tornare alle questioni sollevate da Maria Ines Aliverti quel che lascia sconcertato il visitatore che abbia qualche nozione di storia dello spettacolo (senza essere un professore) è la sbadataggine, direi quasi l'inavvertenza, con cui la componente spettacolare del collezionismo gonzaghesco è trattata. Un'amnesia premeditata se si pensa che non poche delle opere esposte già avevano visto la luce dei riflettori di altre mostre mantovane. E' imperdonabile (basta ripercorrere i contenuti del catalogo della mostra dedicata da Eduard Safarik al grandissimo Domenico Fetti nel 1996) dimenticarsi che almeno dal duca Vincenzo allo scardinalato Ferdinando, cioè per circa un trentennio a cavallo tra Cinque e Seicento, alla base di soggetti e impaginazioni figurative, grandi e piccole, ci fu una società dello spettacolo (teatrale e musicale, professionale e cortigiana) che - secondo quanto insegnano molti studi dedicati alle fonti iconografiche, archivistiche e letterarie mantovane (Gallico, Burattelli, Fenlon, Besutti e altri) - dettò i modi della percezione a molti artisti, oltre a fornire modelli e modelle per le fisionomie pittoriche, situazioni sceniche e drammaturgiche, un modo particolare di concepire lo spazio.

Lo stesso patronage pittorico è inseparabile dal mecenatismo spettacolare, così come l'arte pittorica di Anton Maria Viani è incomprensibile senza un adeguato riferimento alla sua opera di architetto e scenografo-apparatore teatrale. La mediocre presenza in mostra di qualche reperto musicologico, piazzato senza adeguata contestualizzazione in alcune vetrinette, è la classica pezza che vorrebbe tappare un buco e invece ne evidenzia l'ampiezza, inferiore tuttavia all'ignoranza della relativa bibliografia che purtroppo traspare in quasi tutti gli interventi.


 
Domenico Fetti, David con la testa di Golia
Domenico Fetti, David con la testa di Golia

 
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