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Un delitto, in nome del padre

di Carmelo Alberti
  Davide Enia
Data di pubblicazione su web 01/01/2005  
Un esito felice ha avuto la rappresentazione di Scanna (Premio Tondelli 2003), prova d'esordio di scrittura a più voci e di regia per Davide Enia, l'apprezzato drammaturgo palermitano che negli ultimi anni ha guadagnato un'attenzione crescente per l'originalità del suo cuntu. Stavolta, ha scelto di affrontare una prova drammatica regolare, ideando una partitura drammatica regolare. Sul palcoscenico del Teatro Piccolo Arsenale un gruppo di nove bravi interpreti, Valentina Apollone, Luigi Di Gangi, Alessio Di Modica, Katia Gargano, Ugo Giacomazzi, Giorgio Li Bassi, Paolo Mazzarelli, Carmen Panarello, Antonio Puccia, ha descritto in modo persuasivo la situazione claustrofobica di persone tra loro apparentate, chiuse in un rifugio, sotto i bombardamenti di Palermo nel '43.

È una condizione che si sovrappone all'angosciosa lotta che si svolge in seno alla stessa famiglia patriarcale: i nove personaggi si distribuiscono lungo l'intera scala delle generazioni, dal nonno invalido e visionario ai nipoti più piccoli, che passano le interminabili ore tra giochi e litigi. Pesa sul gruppo l'assenza di notizie su ciò che sta accadendo all'esterno, mentre si attende con ansia crescente il suono della sirena del cessato allarme. Quando appare chiaro che il padre assente, impegnato in un attentato antifascista, non tornerà più, il più grande dei figli impone violentemente la sua supremazia, giungendo fino ad uccidere, a "scannare", il fratello, che non smette di contrastarlo duramente. È l'eterna vicenda di Caino e Abele, accentuata dal delirio d'onnipotenza di esseri bloccati in una dimensione arcaica della vita, al pari delle genti del mondo che sono precipitate in una catastrofe bellica che non ammette innocenti, ma solo vittime.

Il dramma, recitato in un dialetto siciliano primitivo, essenziale e, talvolta, criptico, esprime un senso d'inquietudine crescente, di fronte ad una sventura senza scampo, che il ritmo serrato della messinscena trasmette per intero allo spettatore. Sconvolge il dialogo aspro e brutale, accompagnato da un fare manesco e minaccioso; persino i gesti d'affetto, le palpitazioni di un'adolescente che sente le prime pulsioni del trasporto sessuale, lo slancio protettivo di una madre accendono una tagliente rabbia, a stento repressa. Un verso d'uccello migratore riesce a scatenare il desiderio di volare, oltre le sciagure, ma subito dopo un revolver, trasmesso dallo zio pavido al congiunto impulsivo, diviene lo strumento sacrificale di una condanna biblica e atavica, che esplicita il senso di tanti comportamenti delittuosi, compiuti in nome del padre.

Scanna
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