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L'anima nera del commercialista

di Marco Luceri
  Un'immagine del film
Data di pubblicazione su web 27/09/2004  
Quest'anno Le conseguenze dell'amore è stato l'unico film italiano in concorso al festival di Cannes, e non è poco per un giovane alla sua seconda prova con il lungometraggio. Qualche anno fa Paolo Sorrentino era salito alla ribalta per L'uomo in più (2001), un film che aveva segnalato alla critica le ottime capacità tecniche e narrative del trentaquattrenne regista napoletano. Con queste interessanti premesse ha fatto un vigoroso balzo in avanti: il suo nuovo film è una delle opere italiane più pregevoli uscite quest'anno.

Le conseguenze dell'amore è un film italiano a prima vista anomalo", nel senso che sia il materiale drammaturgico che la messa in scena lo avvicinano subito sia alle atmosfere pulp alla Tarantino sia a quelle "rarefatte" alla Jarmusch. Eppure, man mano che il film procede, soprattutto nella strepitosa prima parte, emerge forte il carattere propriamente napoletano del cinema di Sorrentino, grazie proprio all'inserimento di spunti cinico-disperati tipici del teatro eduardiano. Protagonista di questa storia è Titta Di Girolamo (Toni Servillo), un nome abbastanza frivolo per una sorta di moderno commesso viaggiatore, nullafacente che vive da otto anni in un lussuoso albergo svizzero; il suo lavoro è semplicemente quello di consegnare ogni tanto ad una banca elvetica una valigia stracolma di soldi per conto della mafia. Nell'assoluto anonimato che circonda la sua figura di malavitoso, esige che i soldi vengano contati dagli impiegati e non dalle macchinette, per una sorta di atto di fede nel fattore umano. È una delle tante piccole manie che caratterizzano questo memorabile personaggio: composto, elegantissimo, scostante, snob, a tratti misogino, apparentemente disinteressato a tutto ciò che gli succede intorno.

Olivia Magnani e Toni Servillo
 
Servillo (dopo le ottime prove cinematografiche de L'ultimo uomo e Luna Rossa di Antonio Capuano) si conferma un interprete straordinario anche al di fuori del palcoscenico teatrale: perfetto nel restituire tutte le sfumature fisico-psicologiche di questo falso cattivo (e in questo deve molto al suo repertorio eduardiano), imprigionato nel nulla, nella ripetitività di gesti ed orari, imbalsamato nei suoi silenzi di noia e alienazione. Come in un testo di Dürrenmatt, la voce narrante di Titta ci svela pian piano tutti i suoi segreti: la sua famiglia vive in Italia, fa consumo di eroina da venticinque anni ogni mercoledì alle dieci, è stato confinato in Svizzera dalla mafia, che in tal modo gli ha "perdonato" uno sgarbo subìto anni prima.

Nella vita vuota di questo strano personaggio irrompono una serie di strane figure: una coppia di anziani squattrinati dediti al gioco delle carte, un fratello hippy e cialtrone (interpretato da Adriano Giannini), una sgangherata ma risolutissima coppia di sicari dall'accento siculo e soprattutto la giovane e seducente barista dell'albergo (la bella Olivia Magnani). L'incontro con quest'ultima è il fattore determinante per l'uscita di Titta dal suo stato di torpore esistenziale. In realtà è proprio lei ad avvicinarglisi, colpita forse da questa sua durezza ed impenetrabilità, ma ben presto questa strana "coppia" rivela tutta la distanza che c'è tra i due.

Molto intelligentemente Sorrentino evita di far scadere il tono del film in un mélo dai prevedibili esiti, fa invece fare ad i suoi personaggi un lungo percorso di conoscenza reciproca, che però sembra infrangersi di fronte all'inadeguatezza dimostrata da Titta nel rapporto d'amore. Una donna non si conquista certamente solo regalandole una BMW da centomila dollari, ma il valore che Titta dà al denaro, nella vacuità della sua vita, è ormai assoluto. Con il suo rifiuto la ragazza sembra fare breccia nella sua corazza e riportare quest'oscuro commercialista ad una dimensione più umana. È questa la prima conseguenza dell'amore, la più importante: la sincerità ed il coraggio di riconoscere nell'altro una parte di se stessi.

Adriano Giannini e Toni Servillo
 
Ciò implica sempre un'apertura, un dischiudersi profondo: la seconda parte del film ha infatti i ritmi di un'apertura. Un omicidio, il furto di una valigia con dentro nove milioni di dollari portano la storia di Titta verso la redenzione definitiva e l'uscita dal suo stato di vuota depressione.

Lo scarto tra la prima e la seconda parte del film è sottolineato da un altrettanto vistoso cambio di registro nella costruzione delle inquadrature e nel montaggio. All'inizio Sorrentino si concentra soprattutto nella descrizione dei claustrofobici ambienti (usa spesso il grandangolo, le panoramiche, la steady-cam, i piani sequenza che partono dai dettagli e si allargano al piano largo) e dei tratti fisici di Titta (molti i primi piani sul suo volto immobile ed apparentemente inespressivo), il tutto avvolto nelle atmosfere asettiche scandite dalle luci di Luca Bigazzi. Nella seconda parte, parallelamente allo scivolare drammatico della vicenda, i punti di vista cominciano a vacillare grazie all'uso delle false soggettive; a tal proposito davvero notevole è la scena in cui Titta, constatato il rifiuto della giovane barista, si accascia sul letto dopo essersi iniettato una dose di eroina: la mdp in soggettiva scavalca il suo punto di vista in un doppio movimento circolare che riesce a portarci contemporaneamente fuori e dentro il personaggio, parallelamente al suo stato confusionale.

Sorrentino gioca a farci perdere le coordinate e ci conduce in maniera serrata verso il drammatico finale, in cui il serafico Titta si ritrova in una situazione degna de Le iene o di Pulp Fiction. Ma la sua è una redenzione in piena regola: compie un gesto di assoluta gratuità che lo riconsegna, alla fine, a una nuova dimensione etica ed umana. Un'altra, imprevista, conseguenza dell'amore.

Le conseguenze dell'amore
cast cast & credits
 


locandina





Olivia Magnani
 
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