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Cinema digitale, una rivoluzione piena di incognite

di Maurizio G. De Bonis
  Tape di Richard Linklater
Data di pubblicazione su web 21/09/2001  
Il punto di forza dell'high-tech riguarderebbe le enormi possibilità di manipolazione del materiale girato. E l'azione creativa più significativa si sposterebbe dal set alla fase successiva...

La settima arte ha vissuto nella sua storia ultracentenaria svolte epocali (sonoro, colore), svolte che hanno consentito al linguaggio delle immagini in movimento di evolversi seguendo una linea progressiva caratterizzata da una sana tendenza all'innovazione.

Da qualche tempo a questa parte il cinema sta attraversando un nuovo periodo di trasformazione a causa dell'avvento del digitale, tanto che non c'è festival che non presenti nel suo cartellone qualche titolo realizzato grazie all'uso di videocamere o di sofisticatissimi computer. Le grandi produzioni sono pronte a cogliere al volo i possibili effetti positivi di questo cambiamento e si stanno attrezzando per rivoluzionare i metodi di lavorazione dei film, così come un sempre maggior numero esercenti sta valutando la possibilità di mettere da parte i proiettori analogici.

Il futuro dell'industria cinematografica internazionale è ancora però difficile da mettere a fuoco: alcuni esperti sostengono che ci troviamo di fronte ad una mutazione radicale, ormai inevitabile e vicina, altri invece annunciano tempi molto lunghi, ed esisti incerti. Invece i fattori che attualmente possono essere al centro di un'analisi razionale sono senza dubbio la questione linguistica e gli aspetti estetici.

Il punto di forza dell'high tech riguarderebbe le enormi possibilità di manipolazione da parte dell'autore del materiale girato. Dunque, l'azione creativa più significativa si sposterebbe dal set alla fase successiva. Per tale motivo muterebbe anche il ruolo del regista, figura che, già oggi, si trova nelle condizioni di poter intervenire in maniera decisiva in postproduzione. Ma questo modo di operare come ha influito negli ultimi anni sui prodotti finali?

Ci pare opportuno, a tal proposito, affermare come la tecnologia digitale abbia consentito la nascita di opere di scarsa qualità dal punto di vista dell'immagine, una qualità, oltretutto, che attualmente non può consentire all'industria del settore di dare il via definitivo a questa "conversione", almeno fino a quando il mercato non avrà spostato gran parte del suo giro d'affari sulle televisioni satellitari e sul web.
Ma il problema, oltre che commerciale, come già detto, è di carattere estetico-linguistico. Alcuni esempi lampanti in tal senso li abbiamo potuti vedere all'ultima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Il fatto che noti cineasti come Eric Rohmer, Giuseppe Bertolucci, Claire People e Richard Linklater abbiano utilizzato il digitale nella realizzazione dei loro lungometraggi non ha provocato nessun reale scarto nei confronti del cinema su pellicola chimica. In particolare nel caso L'anglaise e le duc, oltre al suggestivo e accattivante escamotage degli sfondi e degli esterni non reali e alla piacevole sorpresa provocata dall'atteggiamento di un anziano maestro (Rohmer) ancora sensibile alla modernità e alla sperimentazione, si è potuto vedere un racconto filmico basato su riprese in interni decisamente statiche e strutturato secondo i canoni più classici della narrazione tradizionale. Per certi versi, l'appiattimento su modelli narrativi di tipo televisivo è apparso addirittura abbastanza evidente.

Ci domandiamo cosa sia effettivamente il cinema digitale, visto che il suo arrivo non ha portato nessuna sostanziale novità nel linguaggio filmico. Anzi, in alcuni casi, sembra aver provocato un'involuzione. A ciò si aggiunge il probabile comportamento delle majors hollywoodiane, le quali nel momento in cui lo sviluppo tecnologico consentirà loro di operare in modo massiccio ed efficace, con un conseguente ritorno economico, certamente spingeranno per far trionfare questa rivoluzione.

Che fine farà, dunque, il cinema? Lo scenario prevedibile, che già in parte stiamo vivendo, è quello di un'industria che rinunci definitivamente alla qualità delle immagini e alla cura della forma per dare sempre più spazio al prodotto di consumo.
E le tendenze contemporanee? Sono già abbastanza preoccupanti, perché, se da una parte vi sono autori che tentano con spirito aperto di sperimentare un nuovo linguaggio e di esplorare territori "sconosciuti", da un'altra esiste una vasta maggioranza di registi che si nasconde dietro il "mito" digitale per produrre un cinema vecchio, semplicistico e privo di idee. E quando in una forma d'arte si smaterializzano le idee automaticamente vengono a mancare anche i suoi elementi principali: la poesia e lo stile.

Tape
di Richard Linklater
presentato alla 53° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica e prodotto dalla Independent Digital Entertainment (InDigEnt)

 

 
L'amore probabilmente di Giuseppe Bertolucci, interamente girato in digitale
L'amore probabilmente di Giuseppe Bertolucci,
interamente girato in digitale



 
 
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