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Studiare il flauto.

a cura di Michele Manzotti
  Ian Anderson
Data di pubblicazione su web 10/07/2003  
Nello scorso autunno i Jethro Tull erano stati lasciati nel cassetto. Ian Anderson, padre-padrone del gruppo sin dalla sua formazione, aveva voglia di provare altre strade. Complice Andrea Griminelli, flautista già collaboratore di Sting e altri artisti, Anderson si lanciò in un concerto dal titolo Da Bach ai Jethro Tull con una piccola band formata dal tastierista dei Tull Andrew Giddings, dal bassista-chitarrista Kit Morgan e dal figlio James Duncan alla batteria. Oggi invece è in tour con la sua "famiglia musicale", con Martin Barre alla chitarra, Giddings alle tastiere, Doane Perry alla batteria e Jonathan Noyce al basso, per presentare il consueto set fatto di brani che dal primo album This Was (1968) giungono fino alle produzioni più recenti, passando ovviamente per i grandi classici come Bourée, Aqualong e Thick as a Brick. Tutto questo attendendo il prossimo album solista Rupi's Dance e quello del gruppo dedicato a brani natalizi in uscita tra l'agosto e l'ottobre 2003. L'11 luglio sarà a Pistoia Blues in piazza Duomo e con lui parliamo di come un musicista rock ami toccare altre strade.

ian anderson

Manzotti - Qual è la ragione principale nel suo approccio ad autori come Bach? È la sua predilezione per l'esecuzione acustica degli ultimi tempi, o la voglia di studiare qualcosa di classico dopo essere stato un rocker per tanti anni?
Anderson - In realtà il legame con J.S. Bach riguarda un solo brano, la Bourée E andiamo indietro nel tempo, all'estate del 1968. A quell'epoca stavo cercando un brano strumentale da inserire nei concerti che sostituisse Serenade to a Cuckoo di Roland Kirk e capitò che uno studente di chitarra classica al piano di sotto tentasse di suonare questo brano con pessimi risultati. Così mi rimase impresso il motivo ma a essere onesto non ho mai ascoltato la versione originale di Bach! Ci aggiunsi alcune parti elaborate da me in uno stile vagamente jazzistico, più vicino al modo di suonare dei Jethro Tull.
Manzotti - Sin dal primo album il suono dei Jethro Tull è stato spesso accompagnato dagli archi e piccole orchestre. Che sensazioni prova a suonare con una grande orchestra?
Anderson - È come salire su una Harley Davidson dopo essersi abituati alla Vespa. La sensazione è quella di dover gestire una potenza imbrigliata: non è come nel rock dove non ci sono limiti e, sostanzialmente, alzando il volume si ottiene di più. Qui bisogna gestire molta "potenza" ma facendo tanta attenzione. Dirò di più, c'è un rapporto quasi sensuale con l'orchestra sinfonica, se ne percepisce la presenza potente ma si gestisce con cura.

ian anderson

Manzotti - Il suono di Andrea Griminelli è differente dal suo. C'è la possibilità di una registrazione con duetti tra il rock e la classica?
Anderson - Perché no? Tutto è possibile. Per quanto riguarda la tecnica flautistica, i musicisti classici dedicano anni e anni, anzi la vita intera, ad esercitarsi nel controllo di base del proprio strumento. In questo caso, l'imboccatura, il suono, la pulizia, e quindi vanno avanti a fare scale ed esercizi all'infinito. Io non l'ho mai fatto, non perché mi ritengo superiore, ma perché mi ha sempre interessato di più creare musica, suonare, inventare, lavorare sull'improvvisazione piuttosto che concentrarmi sul suono. Ci sono persone fortunate, dotate naturalmente, a cui il suono esce naturale, altre meno. E io penso di essere tra quest'ultimi.
Manzotti - Ma il suo suono è cambiato negli anni…
Anderson - Sì, circa dieci anni fa iniziai a lavorare su un album di musica per flauto con l'orchestra, Divinities, per la divisione classica della EMI. Ma a metà delle registrazioni mi colse un senso di frustrazione, e decisi intanto di investire in uno strumento migliore, e in secondo luogo di imparare a fare tutte le note nelle posizioni corrette, cosa che non facevo essendo un totale autodidatta. Così, armato di un bel libriccino su come si suona il flauto, mi dedicai alla mia prima lezione di flauto 24 anni dopo avere iniziato a suonarlo! Come giustificazione posso dire che prima ero stato impegnato a vendere circa 30 milioni di album: è servito a pagarmi la lezione...
Manzotti - Poi?
Anderson - Fu dura, ma avendo avuto qualche mese libero da concerti, riuscii a combinare qualcosa. Tanto che registrai nuovamente i brani e oggi ritengo di poter suonare in maniera migliore, più delicata, di quanto facessi prima. Ma non ho abbandonato il mio vecchio "metodo", con tanto di posizioni sbagliate. Diciamo che quello resta per l'80% il mio stile anche oggi.

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Manzotti - Pensa di poter suonare un giorno solo con l’orchestra, senza elementi elettrici?
Anderson - Quando ho iniziato a pensare ai concerti di questo tipo non volevo semplicemente suonare la musica dei Jethro Tull con l'aggiunta di un'orchestra. Però, soprattutto negli Stati Uniti che restano per noi il primo mercato, ho la necessità di mantenere alcuni brani molto famosi allo stesso livello di energia. In pratica, devono essere assolutamente riconoscibili per il pubblico. Alcuni di questi avevano arrangiamenti orchestrali fin dalla nascita, quindi non c'è stato problema, come ad esempio Too Old to Rock'n'Roll, Too Young to Die; per altri invece ho cercato un compromesso, come in Aqualong, che è totalmente diversa dall'originale ma mantiene il feeling del pezzo. Ma più suoniamo con l'orchestra e più mi rendo conto dell'importanza di tendere ad una forma sempre meno elettrica e più acustica, ad esempio utilizzando un vero pianoforte anziché la tastiera, dando maggiore spazio agli archi, sostituendo la chitarra elettrica con quella classica. Anche se ci sono almeno un paio di brani dove voglio sentire la chitarra elettrica.


 



Ian Anderson
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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