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Quelle maledette storie maialette

Egregio Signor Fedi,

navigando nel Web mi sono imbattuto in un esempio eclatante di quanto possa essere malspeso e improduttivo il tempo che alcuni individui trascorrono nelle nostre Università Italiane. Sul sito www.drammaturgia.it ho letto un suo articolo nel quale criticava un certo "pecoreccio", per usare un termine da lei utilizzato e del quale nel suo articolo dimostra di possedere una certa dimestichezza e proprietà espressiva, che si sarebbe celebrato in una trasmissione del 17 maggio 2003. La trasmissione era Storie Maledette della professionista del giornalismo italiano, Dottoressa Franca Leosini.

In questo articolo, da lei scritto presumibilmente nel momento più alto del suo cursus studiorum, si produce in una critica del provincialismo volgare ed è per questo, supponiamo, che la sua distanza da tali pochezze le hanno suggerito questo aulico ed artistico titolo: Storie maialette. Ed il titolo rappresenta perfettamente non ciò di cui parla, ma lo stile che usa per parlarne. Vede, Signor Fedi, solitamente è buon costume conoscere ciò che s'intende affrontare, prima di parlarne o di scriverne. Ma dubito che sia in grado di comprendere qualcosa che è evidentemente al di sopra delle sue possibilità e capacità.

Se volesse scandalizzarsi per i costumi, le abitudini, i crimini o i misfatti della varia umanità italiana, liberissimo di farlo. Ma la invito, pedagogicamente, a non attribuire ai professionisti che queste storie le rendono visibili, facendo riflettere lo spettatore, gli stessi difetti o le presunte virtù dei protagonisti di questi fatti.

Compito della Signora Leosini non è giudicare, cosa di cui siamo certi ne avrebbe pur titolo, a differenza di lei che non ha nemmeno la capacità di osservare, bensì quello di rappresentare, di percorrere un tragitto psicologico e umano tutto inserito in un contesto preciso e perfettamente proposto. Ma non desidero andare oltre, poiché da un individuo che sembra attribuire una colpa capitale a chi possiede ancora, orrore, un «qualche accenno ahimè inestinguibile d'accento centro-meridionale» dubito possa comprendere qualunque cosa io possa dire.

Tutto qui il suo senso critico, l'esito dei suoi studi universitari? Ma come dice lei, a ragione, «in fondo, mica siamo a Harvard». Mi stia bene e, sia cortese, eviti in futuro di confondere la superficie delle cose con le cose stesse. Farà un piacere a tutta l'umanità.







Paolo Farina


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Risponde Roberto Fedi


Egregio amico,

lei deve aver letto male il mio articolo di quattro anni fa. Perché, se avesse letto con attenzione e senza lasciarsi prendere non si capisce bene da quale raptus, avrebbe compreso che si trattava di uno scritto ironico. Non contro la giornalista Leosini, né contro la trasmissione, bensì a proposito del personaggio dell'intervistato, che era - qualcuno lo ricorderà - il professore di Camerino 'filmato' mentre intratteneva rapporti poco professorali e accademici con le studentesse. Un personaggio da commedia all'italiana: tanto che un settimanale certo non scandalistico né di gossip intitolò l'articolo che diede inizio alle indagini "Decamerino". Docente che, naturalmente, venne sospeso e poi praticamente costretto alla pensione dalla sua Università. Invece di prendere la faccenda sul serioso o sul drammatico, come fa lei, io la prendevo sul grottesco. Come, in effetti, era. Tutto qua.

Quanto al mio accenno ironico all'accento (scusi il bisticcio) un po' dialettale del suddetto protagonista boccaccesco, che lei sempre seriosamente mi censura, siamo alle solite: se lei avesse letto meglio, si sarebbe accorto che l'ironia era sul professore, che ostentava una loquela accademica senza riuscire a non tradire i dialettalismi. Da qui il contrasto, come accade da che mondo è mondo in teatro, dalla Commedia dell'Arte a Totò.

Mi stia bene.


Roberto Fedi

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